Due contributi di Gianni Alioti, mar.-apr. 2023
Riprendiamo qui due articoli di Gianni Alioti. La guerra muove interessi inconfessabili il riarmo non crea posti di lavoro ...
Pubblichiamo un nuovo articolo che prende in considerazione le munizioni di guerra, leggere e pesanti, e gli imballaggi con cui vengono solitamente presentati nei centri logistici, nei porti e negli aeroporti. Pensiamo che possa essere utile a far emergere il traffico sempre più intenso di armamenti, e in particolare quello classificato come merce pericolosa perché esplosivo, rilevabile nelle molte catene logistiche militarizzate che passano per il territorio italiano. Crediamo che informare i lavoratori e i cittadini circa la pericolosità di questi movimenti possa contribuire al rispetto delle norme di sicurezza e a scongiurare gravi incidenti.
Weapon Watch intende così solidarizzare con i lavoratori della logistica che, denunciando questi pericoli, si espongono personalmente alle rappresaglie poliziesche o padronali. Il caso più recente è quello che ha denunciato il delegato sindacale USB dell’aeroporto di Brescia-Montichiari, Luigi Borrelli, che ha rilevato come qui il movimento di armi sia divenuto così intenso che l’azienda che gestisce lo scalo bresciano sempre più spesso decide di chiudere l’aeroporto al pubblico per ragioni di sicurezza durante i trasbordi di armi e munizioni. Il personale di questo aeroporto civile, naturalmente, rimane pienamente esposto ai pericoli che comporta l’intenso traffico militare. Il delegato è stato sanzionato con sei giorni di sospensione dalla direzione di GDA Handling, società che fa parte del gruppo SAVE che controlla gli aeroporti del Nordest e che fa capo al finanziere veneto Emilio Marchi. Come lascia prevedere il disegno di legge governativo 1660, nel quadro dell’economia di guerra e in nome della sicurezza si sta cercando di imbrigliare e reprimere tutte le forme di lotta del settore logistico, anche quelle riguardanti la sicurezza sul lavoro.
Il contributo di Gianni Alioti e Maurizio Simoncelli si può leggere qui: https://www.weaponwatch.net/2024/08/01/piu-armi-piu-lavoro-una-falsa-tesi/
Il governo Meloni si prepara a snaturare la Legge 185 del 1990, quella che impone il controllo delle attività di trasferimento degli armamenti concernenti l’Italia. La 185 prevede, tra l’altro, la pubblicazione di una Relazione annuale al Parlamento. Quella uscita pochi giorni fa potrebbe dunque essere l’ultima Relazione contenente tutti gli elementi che – ancorché pubblicati in una forma di proposito difficile da leggere – hanno sino a oggi permesso di dar conto all’opinione pubblica dei trasferimenti di armi che riguardano il nostro paese.
La trasparenza del commercio internazionale ha sempre incontrato l’aperta contrarietà dei fabbricanti/esportatori di armi, grandi e piccoli.
Preferirebbero condurre nella segretezza affari che condizionano pesantemente la politica estera di ogni paese, il sostegno alle guerre in corso e ai dittatori più impresentabili, la violazione dei trattati di regolazione e non proliferazione, la protezione umanitaria delle popolazioni civili coinvolte.
L’osservatorio The Weapon Watch ha utilizzato i dati della Relazione in numerose occasioni, a cominciare dal maggio 2019, quando proprio sulle pagine della Relazione si trovò conferma di ciò che i portuali genovesi avevano già scoperto, cioè che i generatori della ditta Teknel erano destinati alle forze armate saudite, e non erano affatto attrezzature civili come sostenuto dal caricatore.
Qui pubblichiamo “a puntate” una serie di spunti informativi tratti dalla Relazione 2024, presentata al Parlamento lo scorso 25 marzo.
Senza le dettagliate informazioni sul materiale esportato contenute nella Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento – questo è il titolo completo della relazione annuale al Parlamento secondo la Legge 185/1990 – non potremo più conoscere le reali conseguenze del commercio di armi italiane. Non sapremo quali e dove sono state inviate armi prodotte nel nostro paese, e dunque non potremo valutare se i nostri governi osservano o violano le regole preventive contenute nella legge e nel Trattato internazionale sul commercio delle armi firmato nel 2013. In effetti in passato abbiamo denunciato molti casi in cui i governi non hanno rispettato il comma b dell’art. 6 della legge, che recita: «L’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati (…) verso Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione».
Secondo la Relazione al Parlamento, le dieci aziende che nel 2023 hanno importato materiale militare da Israele sono: Elettronica, Era Electronic Systems, Gelco, Leonardo, MBDA, Milexia, RWM Italia, Simecon, Simmel Difesa, Telespazio. L’importo complessivo è di 46,4 milioni di euro, molto di più (+76%) rispetto a quanto risulta esportato nello stesso anno. Le Agenzie delle Dogane riferiscono di aver registrato 61 operazioni di importazioni militari da Israele.
Due aziende erano anche nella lista degli esportatori: ovviamente Leonardo, che in Israele possiede una società che produce sistemi radar; e RWM Italia, la filiale italiana di una delle aziende del grande gruppo tedesco Rheinmetall, con sede a Ghedi (BS) e stabilimento a Domusnovas (SU), specializzata in munizioni pesanti per artiglieria e per aereo.
La RASSEGNA STAMPA è aggiornata al 16 novembre 2024. Vai ai nuovi contenuti pubblicati dai media
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