03 Ago Eccellenze italiane: i droni di leonardo
Grazie a un recente incontro pubblico a Trieste [vedi qui sotto la notizia The Weapon Watch a Trieste del 20 luglio 2020], ci è capitato di leggere l’ottimo documento stampato nel gennaio 2020 da NO-FRONTIERE-FRIULI-VENEZIA-GIULIA. Ne riproduciamo solo una parte, quella dell’intervista a un migrante pakistano, e rimandiamo per il resto al documento completo, molto ricco di spunti e leggibile sul sito https://nofrontierefvg.noblogs.org/files/2020/01/Appunti-sul-nesso-tra-guerra-e-migrazioni-in-Friuli-Venezia-Giulia-leggere-online.pdf. Segnaliamo qui la nostra completa adesione al metodo adottato dagli amici triestini: partire dalle storie personali, verificare i collegamenti ad altre notizie pubblicate sulla stampa e in rete, approfondire la ricerca con i dati ufficiali a disposizione, rilanciare l’iniziativa per accogliere i migranti e respingere i commerci di armi illegali che attraversano il nostro paese. Il nesso tra la storia di un abitante della lontana valle dello Swat – la cosiddetta “area Pashtun” del Pakistan settentrionale – e la vicinissima fabbrica di Ronchi dei Legionari, a 20 km da Gorizia, appartenente al gruppo Leonardo, è iscritto nella storia della guerra “contro i terroristi” afghani, voluta nel 2001 dagli americani, mai vinta e mai finita; e nella geografia della “rotta balcanica”, ultimo segmento di un percorso che per un migrante può durare mesi o anni, attraverso l’Asia sudorientale, il Medioriente, l’Analtolia, la Grecia. La morale di questo racconto, la sua utilità generale sta nel rendere evidente come sia stato possibile “disumanizzare l’umano” qui e altrove, e quali risultati non previsti – o forse solo non dichiarati – possano conseguire le “tecnologie d’eccellenza” e il “lavoro italiano”. (c.t.)
Appunti sul nesso tra guerra e migrazioni in Friuli Venezia Giulia
Attraverso la rotta Balcanica e la rotta del Mediterraneo centrale transitano migliaia di persone con l’obiettivo di arrivare in Italia e spostarsi, spesso, in altri paesi europei. Chi si trova costretto ad intraprendere queste rotte affronta la morte e subisce torture, stupri, prigionie ed eterne attese per arrivare alla meta. Le persone che arrivano sono distrutte e si trovano ad affrontare mesi di attese per richieste d’asilo che raramente portano esito positivo. A seguito, rischiano di essere internate in un CPR e deportate al paese d’origine. La guerra è tra le prime ragioni per cui le persone intraprendono queste migrazioni forzate. Chiedersi chi causa quelle guerre e chi ne beneficia diventa una conseguenza logica alla pulsione etica di voler far qualcosa di fronte alla sofferenza che ci circonda. Esistono almeno due piani su cui rispondere. Sul primo piano, quello globale, la maggior parte delle guerre si svolge oggi per garantire il modello economico in cui siamo immerse: l’industria ha un bisogno estrattivo strutturalmente crescente e le risorse della terra sono strutturalmente limitate. L’accesso a tali risorse da parte delle grandi potenze è garantito purché i luoghi dove esse risiedono siano politicamente e socialmente instabili. Sul secondo piano, quello locale, si possono guardare invece ai beneficiari più diretti delle guerre: chi produce e trasporta armi o chi studia per crearne nuove. Si tratta di piani intrecciati e mutualmente influenti, la differenza sta solo in come possiamo accedervi. Se i meccanismi accennati nel piano globale sono difficilmente raggiungibili, il piano locale, invece, è attaccabile ed arginabile fin da subito poiché si materializza nei territori dove viviamo: ha filiali, terminali di passaggio, laboratori e responsabili. Queste pagine sono il primo abbozzo di una ricerca sulla produzione di armi in Friuli Venezia Giulia, cercando di evidenziare i nessi che questa ha con le migrazioni che più ci riguardano. L’auspicio è che possano essere strumento per tutte coloro che pensano non ci sia più tempo da perdere per provare a fermare questa catastrofe.
Intervista
Il testo che segue nasce da una chiacchierata notturna con un amico scappato tre anni fa dal Pakistan ed arrivato in Friuli Venezia Giulia. Abbiamo deciso di condividere quello che ci siamo detti facendo un’intervista. Il suo nome non compare per evitare ripercussioni ed il testo mantiene il suo modo di parlare.
Da dove vieni?
Dalla Valle dello Swat, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, in Pakistan.
Com’è la valle dello Swat?
La valle si chiama anche Svizzera dell’Asia, è molto bella. È grande, forse come il Friuli Venezia Giulia. Ci sono 37 laghi.
Come si vive lì?
Vent’anni fa c’era molto turismo, è una zona ricca di frutta e verdure molto conosciute. Hanno un nutrimento speciale. Costano il doppio delle altre verdure del Pakistan. Ora, dopo vent’anni la situazione è cambiata per questa famosa guerra contro gli estremisti. Questa guerra ha causato povertà, ha distrutto l’economia e molte persone si sono spostate all’interno del Pakistan e alcuni si sono spostati in Europa.
Chi sono gli estremisti?
Gli estremisti si chiamano anche Talebani. Negli anni ’70 gli Americani e il governo pakistano hanno creato i Talebani nella provincia di Khyber Pakhtunkhwah per combattere l’Unione Sovietica che voleva invadere l’Afghanistan.
Cosa c’entrava la valle dello Swat?
Il popolo che vive nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa sono per la maggior parte di etnia Pashtun e anche il 44% dell’Afghanistan è Pashtun. Il governo pakistano e gli americani, negli anni ‘70, sono riusciti a convincere il popolo Pashtun del Pakistan a proteggere dall’Unione Sovietica le persone in Afghanistan approfittando che si trattava dello stesso popolo, con la stessa lingua, valori sociali e culturali.
Come è arrivata la guerra lì?
Dopo l’11 settembre il dittatore generale Musharaf ha fatto accordi con gli americani e ha preso soldi per combattere contro i Talebani. I Talebani quindi si sono spostati nelle montagne nella Valle dello Swat, nella valle Dir, e nella Tribal Area nel confine tra Pakistan e Afghanistan. Il governo pakistano in realtà supporta i Talebani. Siccome doveva dimostrare ai loro alleati americani cosa stava facendo con gli aiuti militari ed economici che gli avevano dato negli accordi, ha fatto finta di combattere contro i Talebani ammazzando il popolo civile con i carri armati, gli aerei militari e i droni.
Tu hai mai visto un drone?
Nel 2013 è caduto un drone in un posto di montagna che si chiama Malam Jabba e lì l’ho visto.
C’era scritto anche sui giornali?
No, nei media non c’era scritto niente. Nei media locali c’era scritto che era caduto un elicottero ma in realtà sembrava un drone.
Di chi era questo drone?
Dicono che era un drone pakistano. I droni americani, secondo gli accordi, sono autorizzati ad operare solamente nella zona di confine tra Pakistan e Afghanistan. La valle dello Swat non è sul confine e quindi dovevano essere droni pakistani.
Come opera un drone nelle tue zone?
Noi non lo vediamo, non fa rumore. Quando butta un missile o una bomba in una casa o in un villaggio allora scopriamo che c’è stato un drone. Gli aerei invece fanno rumore e si può capire se viene da loro.
Chi attaccano i droni?
Dagli attacchi e dalle testimonianze che abbiamo osservato sappiamo che tutti i droni uccidono anche la popolazione civile. I droni americani colpiscono anche i Talebani. Loro vedono se una persona gli sembra “strana” e la uccidono, però, siccome per la cultura la maggior parte degli uomini hanno il turbante e la barba, spesso non erano Talebani quelli che hanno colpito. Certe volte qualcuno mette una sim card in quello che deve essere distrutto e il drone può sparare su quel target. Quando cade una bomba in un villaggio muoiono anche bambini, donne, animali. I droni pakistani uccidono quelli che definiscono “bad Taliban” che sono la classe bassa dei Talebani e uccidono il popolo civile.
Cosa pensa la gente dei droni?
Siccome non vedono i droni che arrivano hanno sempre paura sia a casa che fuori. In realtà parlo di 3-4 anni fa. Le persone 3-4 anni fa cercavano di scappare.
Com’è la situazione adesso?
Io non sono lì da circa tre anni e mezzo. So che l’esercito ha il controllo del territorio e tratta le persone civili in modo simile a come facevano i Talebani, fanno torture. Nella valle dello Swat hanno preso terreno dal popolo, svuotando anche le case per fare le basi militari. Musharaf l’anno scorso ha dichiarato di aver venduto 3000 persone agli americani. Ci sono 32 mila persone scomparse in Pakistan a causa dei militari solo per aver protestato, parlato o espresso qualcosa contro di loro.
Tu pensi che il Pakistan sia sicuro?
Credo che chi ha soldi, chi fa la guerra, chi riesce a vivere sotto la pressione islamista, di genere, di omosessualità e non critica è sicuro. Praticamente chi sta zitto. Lo stato usa la religione come arma, ci sono anche le leggi di blasfemia che sono un’arma del governo per attaccare chiunque per qualsiasi cosa.
L’Italia credo consideri buona parte del Pakistan come paese sicuro.
Il governo pakistano sono i Talebani. Il problema degli occidentali è che appoggiano e supportano le dittature nei paesi del terzo mondo.
Perché?
È facile per il mondo occidentale lavorare con paesi sotto dittatura, gli conviene. I paesi sotto dittatura fanno subito accordi, non c’è bisogno di consenso, gli serve perché ci sono interessi economici, politici, per le materie prime. Queste dittature che supportano sono quelle che fanno scappare le persone. Secondo il Financial Action Task Force il governo pakistano è nella lista grigia dei paesi dove si finanzia il terrorismo e la guerra e il Pakistan è alleato della Nato.
Sai dove usa i suoi droni il Pakistan adesso?
So che li usa nella zona di confine in Waziristan nella Tribal area, dove arrivano anche quelli americani. Anche in Swat ne usa ancora ma sono meno e più mirati perché c’è l’esercito. Adesso l’attenzione si sta spostando verso il confine con l’Iran, e credo li useranno contro la tribù Baloch [anche italianizzato in “Beluci”, n.d.r.] dove li hanno già usati.
Chi sono i Baloch?
La provincia Balochistan [“Belucistan” n.d.r.] è la più grande provincia del Pakistan, ricca di tutte le risorse naturali tra cui gas, petrolio, carbone, ferro. Il Pakistan ha fatto degli accordi con la Cina, secondo questi accordi la Cina costruirà un corridoio economico fino a Porto Gwadar per trasportare le merci cinesi all’estero e le risorse dal Balochistan in Cina. Il popolo Baloch che vive in quelle zone si è ribellato per proteggere le loro risorse. Li stanno ammazzando da tanti anni usando anche i droni. Proprio oggi c’è stato un attacco in una moschea, ma non di drone, nella provincia di Balochistan, e hanno ucciso 13 persone, non si sa da chi è stato fatto, i media non ne parlano, io lo vedo dai siti alternativi. Il problema è che questi attacchi non passano nei media. Se uscissero alla TV l’immagine del Pakistan come “paese sicuro” si distruggerebbe. Ma in Pakistan c’è tanto conflitto. Se non ci fosse la mia famiglia in Pakistan queste cose le direi a tutti apertamente.
Questi accordi con la Cina sono parte della Nuova Via della Seta, per far diventare il Porto di Gwadar la “testa di ponte” del progetto. Trieste dovrebbe diventare un nodo della Nuova Via della Seta in Europa, hanno in progetto grandi opere distruttive in Carso. Non sapevo dei Baloch, speriamo di riuscire a resistere anche noi…
Sì, infatti il loro piano è entrare nell’oceano Indiano da lì… I Baloch resistono da tanti anni, adesso lottano proprio in modo violento contro l’esercito. In altre parti del Pakistan arriva il gas dal Balochistan e loro non lo possono neanche avere nelle loro case. Non avevano altra scelta, hanno preso le armi.
Tu sei andato via dal Pakistan anche a causa degli attacchi con i droni?
Sono fuggito dal Pakistan perché ho parlato contro, mi sono opposto e mi sono ribellato all’infinita guerra e discriminazione. Non volevo essere uno schiavo mentale e fisico di questi accordi economici di cui soffriamo da decenni. Sono nato in guerra e cresciuto in guerra ma volevo avere una morte normale come le genti muoiono in altre parti del mondo, non una morte di guerra.
Dove sei arrivato in Friuli Venezia Giulia?
Sono venuto prima a Gorizia.
Ti saresti mai immaginato che parte della flotta di droni del Pakistan è prodotta a 20 km da Gorizia?
Non immaginavo che la fabbrica goriziana di droni potesse distruggere la bellezza della mia città, lo Swat e le vite innocenti. Sono venuto qui in cerca di amore e pace. Se l’avessi saputo prima, mi sarei potuto trasferire in un’altra città o paese perché mi fa male saperlo. Va beh, comunque in realtà non è stata una mia scelta rimanere qui, ma è il processo burocratico che mi ha messo qui.. sai, quando sono arrivato non avevo idea di cosa fosse il processo d’asilo, la commissione, il processo Dublino. Ero in treno quando mi hanno detto di venire a Gorizia. La storia che spiega perché ognuno di noi arriva qui è complessa e profonda. Spesso le persone studiano solo una parte della storia e poi generalizzano e pensano di capire tutto. Però bisogna mettere i piedi nelle altre scarpe per capire. Gli uomini si sono trattati molto male nella storia, come con la schiavitù eccetera, e adesso stiamo facendo gli stessi errori, anche se abbiamo un solo pianeta.
Finiamo così l’intervista?
Sì ok.