Vedere le guerre invisibili

Come è cominciata la storia delle “navi della morte”

Il Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali di Genova ha diffuso in questi giorni nuove immagini di ciò che trasportano le navi saudite quando transitano dal principale porto italiano.

The Weapon Watch le riprende qui, insieme ad alcune delle foto pubblicate in passato. Pensiamo che esse rappresentino un contributo fondamentale di quanto il nostro paese, i nostri porti stiano collaborando alle guerre in corso. L’Italia non è ufficialmente in guerra, ma per imprenditori e governanti le guerre sono un affare da non perdere. Così il nostro paese vende ai belligeranti le armi di Leonardo, Fincantieri, Iveco Defence; e consente il passaggio sul proprio territorio di armi destinate a paesi non democratici con cui non ha legami di alleanza militare. Questo è vietato da leggi e trattati, e dalla Costituzione repubblicana.

I trasferimenti “di terzi” sono segretati dalle autorità italiane, che pure ne sono obbligatoriamente informate. È il silenzio imposto dalla “santa alleanza” tra venditori e compratori di armi, base economica e politica di tutte le guerre in corso. Per questo l’industria delle armi è «la calamità più grande che c’è nel mondo» (papa Francesco il 6 novembre 2022, sull’aereo di ritorno dal Bahrein).

Ogni 20-30 giorni le navi della compagnia nazionale saudita Bahri passano da Genova. Sono i vettori di una vera e propria catena logistica militare. Sin da quando sono state varate nel 2013, viaggiano sempre sulla stessa rotta Nordamerica-Europa-Mar Rosso-Golfo Persico, con destinazione finale Jeddah e Dubai, i due porti maggiori del mondo arabo. Le sei navi gemelle possono trasportare mezzi rotabili, container e imballaggi fuori sagoma, e sono abilitate a trasportare merci pericolose di classe 1 (esplosivi). Servono sotto contratto il Ministero della difesa e sono essenziali alla logistica delle forze armate del regno saudita. Nel 2020 Bahri ha firmato contratti con General Electric e Caterpillar, grandi gruppi americani con significativa presenza nel militare, e dal 2021 con SAMI Saudi Arabian Military Industries, azienda di stato che in Arabia produce su licenza armi e munizioni americane, russe, europee, cinesi ecc. In Italia fIno al 2018 le navi toccavano sia Livorno che Genova, poi dal 2018 solo Genova, ormai unico scalo regolare europeo. La logistica Bahri è gestita per l’Italia da Delta, un’agenzia marittima del gruppo Gastaldi con una dozzina di dipendenti che lavorano in gran parte per il cliente arabo, realizzando negli ultimi due anni utili d’esercizio pari al 35% del fatturato.

Prima della guerra in Yemen, l’Arabia Saudita importava dagli Stati Uniti armi per circa 3 miliardi di dollari all’anno. Dal 2015 i volumi sono triplicati, e il regno saudita è divenuto il maggior importatore mondiale di armamenti, e il maggior cliente dell’industria militare statunitense (secondo il SIPRI, tra 2015 e 2020 gli USA hanno venduto al governo di Riyadh armi per 64,1 miliardi di dollari). Nonostante le molte denunce dei crimini commessi dai sauditi con le bombe e le armi di fabbricazione USA, e nonostante l’efferato omicidio di Jamal Khashoggi, le esportazioni di armi dagli Stati Uniti – così come dal Regno Unito, dal Canada e dal resto del mondo – non sono nel frattempo neppure rallentate. La risoluzione del Parlamento europeo del settembre 2020 ha avuto effetto solo temporaneo nel limitare l’export verso l’Arabia Saudita, poi ha prevalso la Realpolitik che è sempre al sostegno dell’industria della difesa. La ventilata cancellazione di ordinativi da parte dell’amministrazione Biden non le impedisce di continuare le consegne relative ai contratti miliardari firmati dai due precedenti presidenti.

Il materiale che hanno trasportato in questi anni le navi Bahri è solo in parte quello testimoniato dai portuali genovesi. Probabilmente sono centinaia i container di bombe trasportati dalle navi Bahri, quelli documentati qualche decina. Lo stesso vale per i carri armati e i blindati leggeri. Spesso il materiale militare ospitato nei garage è stato celato ad occhi indiscreti sbarrando le porte di accesso e controllandole con i vigilantes.

Tutto cominciò nel lontano 1° luglio del 2014, con una specie di “incidente diplomatico».

Al suo primo arrivo nel porto di Genova, proveniente dal porto canadese di Halifax, una con-ro della compagnia Bahri – precisamente la «Hofuf» – venne ispezionata dalla Guardia costiera. Un controllo di routine, consueto per una compagnia non conosciuta nell’ambiente mercantile genovese, e per una nave che batte bandiera saudita.

I funzionari italiani scoprirono che la nave era stacarica di armamenti pesanti, sequestrano il carico per violazione della legge 185/1990 – quella che regola il transito internazionale di armi – e portano il capitano croato di 51 anni in Questura per accertamenti, ai sensi della legislazione anti-terrorismo. Solo dopo parecchie ore, la Prefettura darà l’ok e autorizzò la partenza della nave.

Cos’era successo? Nessuno aveva avvisato le autorità portuali che le navi Bahri erano parte di una catena logistica militare autorizzata a Washington a beneficio degli “alleati” sauditi. Come ricordano i portuali presenti, dovette venire un funzionario dell’ambasciata USA di Roma a spiegarlo ai funzionari genovesi.

Di tutto ciò diede notizia Il Secolo XIX solo il 14 agosto 2014, grazie a un articolo di Pablo Calzeroni. Quarantacinque giorni dopo i fatti, si venne così a conoscere in dettaglio ciò che trasportava la nave: 27 carri armati da combattimento classe Abrams, 6 autocarri militari modello Taurus, una unità mobile di telecomunicazioni e radar, 77 container di attrezzature belliche di ogni tipo.

Maggio 2019, i generatori elettrici e gli shelter militari della ditta romana Teknel destinati alla Guardia Nazionale saudita, sono bloccati dai portuali di Genova.
Luglio 2021, dodici container con esplosivi (con tutta probabilità munizioni pesanti di fabbricazione USA) sul ponte della «Bahri Hofuf».
Novembre 2021, durante le operazioni di carico sulla «Bahri Hofuf» sono visibili i molti container con esplosivi (larga arancione a losanga) collocati sul ponte..
Nei garage della «Bahri Hofuf» (luglio 2021), almeno quattro elicotteri Boeing AH-64D Apache Longbow della Guardia Nazionale saudita (che dispone di una flotta di dodici Apache Longbow in tutto).
Novembre 2021, alcuni elicotteri Sikorsky UH-60M Black Hawk nella stiva della «Bahri Abha».
Sono destinati alla Guardia nazionale saudita, che ne ha una ventina in dotazione.
Maggio 2022, la «Bahri Hofuf» trasporta uno dei 48 elicotteri per carichi pesanti Boeing CH-47F Chinook appartenente alle forze armate terrestri del Regno saudita.
Novembre 2021, i garage della «Bahri Abha» ospitano almeno una ventina di carri armati Abrams M1A2 e probabilmente anche del modello SEPV 3, recente versione con importanti upgrade elettronici.
Aprile 2022, altre decine di carri Abrams a bordo della «Bahri Jeddah».
Un altro imbarco pericoloso: carichi pesanti passano sopra i container con esplosivi posti sul ponte della «Bahri Yanbu», nel gennaio 2022.
Settembre 2022, a bordo della «Bahri Abha» ci sono almeno quattro elicotteri Sikorsky UH-60M Black Hawk in dotazione alla Guardia nazionale saudita.


A SINISTRA: Sempre a bordo della «Abha», protetti dalla guaina termoretraibile, si riconoscono numerosi blindati LAV 700 usciti dallo stabilimento General Dynamic di London, Ontario nel giugno 2022, e destinati alla Guardia Nazionale saudita.
Sul ponte della «Abha» i consueti container con esplosivi, questo apparentemente diretto a Abu Dhabi.
La Abha» a Genova ha scaricato un K-loader fabbricato da Leonardo USA. E’ un macchinario semovente speciale, un “caricatore di merci” per aerei costituito con piattaforma elevabile. E’ destinato alla base di Aviano.
Novembre 2022, sul ponte della «Bahri Yanbu» container con esplosivi (IN ALTO). La nave scartica anche tre elicotteri, apparentemente Leonardo civili.

Queste ultime tre immagini risalgono ai primi di novembre del 2022, cioè al passaggio da Genova della «Bahri Yanbu». Nella sua stiva una vera flottiglia di elicotteri Apache AH-64 (A SINISTRA), con visibili alcune delle armi di bordo come la chain gun M-320 (AL CENTRO), cannone automatico da 30 mm capace di sparare 625 colpi al minuto di proiettili perforanti-esplodenti. Nell’immagine A DESTRA, la coda di un Apache ha come sfondo una torretta di perforazione e un avvolgitubi per irrigazione: per combinazione, sono gli strumenti simbolo del presente e del futuro prossimi: la guerra, il petrolio, l’acqua.