
25 Feb Con l’attentato alla petroliera di Vado Ligure la guerra ci è entrata in casa
Grazie a un alleato, come nel caso del Nord Stream di cui non ci ricordiamo bene…
A dieci giorni dall’attentato alla petroliera «Seajewel» tutti gli interrogativi più importanti rimangono sul tavolo senza risposta, anzi altri se ne sono aggiunti.
In ogni caso nessun nuovo elemento si è aggiunto che possa smentire quanto abbiamo già affermato: si tratta di un atto di guerra compiuto sul territorio del nostro paese, il primo che si possa mettere in collegamento diretto con la partecipazione dell’Italia alla guerra tra Russia e Ucraina.
I silenzi della stampa – Come sappiamo per lunga esperienza storica, anche nel nostro paese la stampa ‘istituzionale’ che informa l’opinione pubblica fornisce informazioni anche in forma di silenzi. I silenzi sulla vicenda «Seajewel» ci sembrano significativi.
Come abbiamo già riferito, le esplosioni che hanno danneggiato la petroliera si sono registrate nella notte tra venerdì 14 e sabato 15 febbraio. La Repubblica ha seguito il caso solo nella sua edizione genovese, su quella nazionale si è limitata a una ‘breve’ (a p. 23 il 20 febbraio). Il Fatto Quotidiano non ha pubblicato nulla sull’edizione cartacea. Il Giornale ha mantenuto il silenzio sino al 21.2, quando è uscito con un’“inchiesta” a p. 4. Il manifesto nulla.
Il quotidiano che più ha seguito la notizia è stato il genovese Secolo XIX, forse perché da qualche mese è di proprietà del mega gruppo armatoriale MSC. Ha cominciato a occuparsene, però, non prima di martedì 18 (‘lavorato’ il 17), e per tre giorni consecutivi ha impaginato con lancio e foto in prima pagina e articoli alle pagine 2 e 3 (18, 20 e 21.2). Solo La Stampa, molto seguita nel Ponente ligure, ha seguito il Secolo, uscendo con informati articoli nella sezione ‘Primo piano’ per tre giorni consecutivi (18, 19 e 20.2).
Il giornalismo embedded – A parte dobbiamo considerare il Corriere della Sera, che prima ha tardato a intervenire sul caso fino a giovedì 20 febbraio, poi ha fatto scendere in campo una firma di peso come Guido Olimpio che ha messo sul tavolo un altro tipo di notizie, quelle che non hanno fonte. Con il titolo «La guerra segreta sui mari – La petroliera in Liguria e i precedenti», l’attentato di Savona è presentato come uno dei “diversi strani episodi” accaduti negli ultimi mesi. “Forse sono incidenti, forse si è trattato dell’errore di marinai distratti, forse è stato altro”. La «Seajewel» “potrebbe essere rimasta vittima di un attacco con cariche esplosive che hanno provocato danni minori ma che, al tempo stesso, costituirebbe un segnale inquietante”. Va dunque inserita tra le navi che hanno subito incidenti sospetti negli ultimi due mesi: il cargo russo «Ursa Major», affondato il 23 dicembre 2024 mentre era in viaggio tra Spagna e Algeria (3 esplosioni a bordo); la nave spia russa «Kildin» abbandonata al largo di Tartus, in Siria, il 23 gennaio 2025 (esplosione e fuoco a bordo); la portarinfuse cinese «An Yang2» incagliata l’8 febbraio di fronte a Sakhalin, a nord del Giappone; e la cisterna «Koala» con bandiera di Antigua e Barbuda, che il 9 febbraio ha subito tre esplosioni al largo del porto russo di Ust-Luga, Mar di Finlandia.
Vengono nominate anche altre navi e altri incidenti minori, in un quadro globale che infittendo le informazioni minori diventa confuso e indefinito.

La rivendicazione – C’è chi ha sottolineato che l’attentato di Savona non è stato rivendicato. Tuttavia, riprendendo le fonti locali savonesi in anticipo su tutti i giornali italiani, un quotidiano online di Kiev ha pubblicato (17.2) un articolo bene informato in cui si dà per scontato che la «Seajewel» appartenga alla ‘flotta fantasma’ che commercia il petrolio russo in violazione delle sanzioni internazionali. Nel dicembre 2024 la stessa Ukrainska Pravda aveva diffuso su YouTube un interessante servizio ‘investigativo’: servendosi degli strumenti del tracking navale e di teleobiettivi, nel porto rumeno di Costanza sono state filmate alcune petroliere dedite – si afferma nel servizio – al traffico ‘triangolare’ di petrolio russo tra Novorossiysk, i porti turchi e appunto Costanza. Tra esse, ben riconoscibile, la «Seajewel».
Cos’è una ‘flotta ombra’ – Secondo Lloyd’s List, una nave cisterna appartiene a una ‘flotta ombra’ se ha almeno 15 anni di età, se è di proprietà anonima e/o ha una struttura societaria progettata per nascondere la proprietà effettiva, se è impiegata esclusivamente nei traffici petroliferi sanzionati e se è impegnata in una o più delle pratiche di navigazione ingannevoli secondo le linee guida del Dipartimento di Stato USA pubblicate nel maggio 2020. Le liste escludono le petroliere riconducibili a entità marittime controllate dai governi, come la russa Sovcomflot o l’iraniana National Iranian Tanker Co, e quelle già sanzionate.
Allo stato attuale, ad aver individuato le navi che contrabbandano petrolio russo sono l’Unione Europea (16 pacchetti di sanzioni contro la Russia, che tra l’altro colpiscono 152 navi); il Regno Unito dal luglio 2024 ha blacklisted oltre 100 navi, in gran parte petroliere; gli Stati Uniti hanno sanzionato dall’agosto 2023 oltre duecento navi, di cui 155 cisterne nel solo gennaio 2025.
La «Seajewel» non è tra le navi sottoposte a sanzioni internazionali.
L’ultimo viaggio – La «Seajewel», che naviga sotto bandiera di Malta, appartiene ed è gestita dalla società armatrice greca Thenamaris, un colosso dello shipping internazionale che gestisce 93 navi tra cisterne, rinfuse e gasiere. Negli ultimi due mesi ha toccato nell’ordine i porti di Salonicco, Ceyhan (Turchia), Istanbul, Costanza (Romania), Fos-Marsiglia e Arzew, in Algeria, prima di raggiungere Vado. Se ha ‘triangolato’ petrolio russo può averlo caricato in Turchia e/o in Romania, entrambi paesi NATO che però – secondo gli ucraini – sono piattaforme di smistamento di greggio sanzionato.
La supply chain – Al momento dell’attentato, la nave stava sbarcando greggio alle boe Sarpom di Vado Ligure, greggio destinato a raggiungere via oleodotto la raffineria Sarpom/IP-API di San Martino di Trecate (Novara), il primo operatore privato in Italia nel settore della distribuzione dei carburanti, che negli anni ha inglobato le reti già dei marchi Total, ERG, IP, Esso ed API. Si è minacciata quindi la sicurezza degli approvvigionamenti di una delle principali arterie energetiche del nostro paese, vitale per l’economia nazionale.
Novità inquietanti – In queste ultime ore si stanno aggiungendo – sempre per merito soprattutto del Secolo XIX – altri particolari.
1. il 17 gennaio scorso anche la nave gemella «Seacharm», sempre appartenente a Thenamaris, ha subito un attentato al largo del porto turco di Ceyhan;
2. l’esplosivo utilizzato a Savona è dello stesso tipo di quello utilizzato in altri attentati compiuti recentemente nel Mediterraneo;
3. la seconda bomba sistemata sullo scafo della «Seajewel» è scoppiata circa 20 minuti dopo la prima, e sul fondo marino, non si sa se per malfunzionamento o per calcolo.
La minaccia ambientale sottostimata – Se le paratie della nave non avessero tenuto, o se la seconda bomba avesse allargato la falla della prima, si sarebbe profilata una catastrofe dalle proporzioni simili a quella del disastro della petroliera «Haven» affondata al largo di Arenzano nel 1991, quando vennero riversate in mare 144.000 tonnellate di petrolio. La bonifica del fondale non è mai stata fatta, e oggi vi stazionano 50.000 tonnellate di catrame. I depositi e il relitto sono da allora una fonte di inquinamento continuo, e secondo gli esperti per mancanza di sedimentazione non ci sono prospettive di una decomposizione batterica del letto di catrame.
Cosa (non) ricordiamo del caso Nord Stream – Era il 26 settembre del 2022 quando quattro bombe hanno distrutto i gasdotti Nord Stream 1 e 2. Ad appena due anni e mezzo di distanza, sembra che a ricordare uno dei più clamorosi attentati alle infrastrutture mai registrati sia rimasto solo Seymour ‘Sy’ Hersh, l’ottantasettenne giornalista investigativo premio Pulitzer nel 1970 per aver rivelato strage di Mỹ Lai, durante la guerra in Vietnam.
Non si ricordano più le 150.000 tonnellate di metano rilasciate nell’atmosfera. Non si ricorda che la Russia ha chiesto sul caso un’indagine internazionale al Consiglio di sicurezza dell’ONU, richiesta respinta. Né si ricorda che i governi di Germania, Svezia e Danimarca promisero un’inchiesta approfondita, mai avvenuta. Circa un anno fa Danimarca e Svezia hanno chiuso le indagini e inviato i risultati alla Germania, che finora ha emesso un solo mandato di arresto per un ucraino senza nome.
Eppure il sabotaggio era stato minacciato pubblicamente dal presidente Biden ricevendo il cancelliere Scholz a Washington, nel febbraio 2022. E secondo fonti riservate raccolte da Hersh, è stato un segnale da remoto a innescare l’esplosione degli oleodotti, minati mesi prima da due sommozzatori della US Navy. Da buon americano, in un recente articolo Hersh non ha nascosto la sua ammirazione per questi sub, “superbamente addestrati per svolgere il loro lavoro” a circa 80 metri di profondità nel Mar Baltico: “un gruppo altamente qualificato di sommozzatori addestrato dalla Marina, la cui capacità di rimuovere i detriti dai porti e le ostruzioni marine è stata ritenuta essenziale per decenni dai comandi della Marina around the world”.