La guerra è una sola, i grandi ricchi contro i tanti poveri

Cosa lega la “guerra mondiale a pezzi” alle lotte contro i malfattori della logistica

Questa volta la notizia riguarda FedEx, ma si tratta della 33a indagine di questo tipo in cinque anni avviata dalla Procura di Milano, sempre per frodi fiscali e previdenziali e falsi documenti che riguardano la somministrazione di manodopera. I giudici di Milano applicano uno schema fisso: rilevate le frodi ai danni del fisco, le valutano e sequestrano un pari importo all’azienda, che poi lo riconosce in via definitiva per saldare la propria posizione, fatte salve le responsabilità penali dei manager. Nella loro rete è finito il “fior fiore” della logistica italiana, che in realtà si configura come un sistema per truffare i lavoratori, in buona parte precari e immigrati. Detto in altro modo, gli uffici legali e di consulenza dei grandi gruppi globali continuano a elaborare nuove versioni del caporalato e del lavoro schiavistico, la più recente – anche dopo i sequestri e la composizione giudiziale – quella di costringere i lavoratori alla rinuncia del Tfr in cambio dell’assunzione prevista dagli accordi.

C’è una impressionante coincidenza tra i grandi gruppi indagati e poi “ravvedutisi” e gli operatori mondiali della logistica militare, quelli che portano le armi e i proiettili nelle guerre in corso e che organizzano le guerre future.

Il sequestro che pochi giorni fa ha colpito FedEx (46 milioni di euro) fa seguito a quelli subiti dalle filiali italiane di GXO (83,9 milioni, luglio 2024), UPS (86 milioni, dicembre 2023), Dhl (23 milioni, febbraio 2023; 20 milioni, giugno 2021, poi versati 35 in via definitiva), Geodis (37 milioni, dicembre 2022, finita poi in amministrazione giudiziaria), DB Schenker (nel 2022 commissariata per “infiltrazioni mafiose”, poi condannata a versare 10 milioni al fisco e assumere 200 lavoratori). Sono tutti giganteschi gruppi americani ed europei che vantano una grande esperienza nella cosiddetta defence logistics, primari fornitori di servizi ai rispettivi apparati militari e ministeri della difesa e operatori sul mercato globale.

Tutti conoscono la vocazione militare di FedEx. Fred Smith, il suo fondatore, è stato pilota nei Marines in Vietnam. Un gran numero di ex militari lavora in FedEx a tutti i livelli, reclutati con programmi specifici, siano ufficiali piloti dell’Airforce o mogli di militari in servizio. Già sei mesi prima della fine della ferma, il personale militare può frequentare corsi di formazione per l’ingresso in azienda. FedEx invia pacchi dono personali in tutte le basi USA sparse sul globo. È intrisa di cultura militare: i dipendenti che compiono prestazioni esemplari al di là delle normali responsabilità lavorative ricevono il premio “Bravo Zulu” (BZ), espressione con cui nella Marina militare si indica il “lavoro ben fatto”.

Non c’è da stupirsi se FedEx è uno dei principali fornitori del Pentagono. Un solo appalto, quello per la consegna di pacchetti espresso interni e internazionali, valeva nel 2017 2,35 miliardi di dollari per cinque anni, replicato nel dicembre 2022 con un appalto quadriennale da 2,24 miliardi di dollari, da spartire insieme a Polar Air Cargo e UPS ma prolungabile fino al 2030. Fedex partecipa al programma CRAF (Civil Reserve Air Fleet), che consente al Dipartimento della Difesa la requisizione (a prezzi di mercato) dei cargo wide-body e a Fedex di partecipare alle gare di appalto per i servizi charter della difesa.

Un fotogramma di Cast Away, film di R. Zemeckis (2000). Nel cerchio blu il fondatore di FedEx, Fred Smith, nel ruolo di se stesso che dà il bentornato al protagonista Chuck, interpretato da Tom Hanks (nell’ovale giallo).

Gli appalti della difesa, a partire da quelli negli Stati Uniti, sono ambitissimi da tutti i grandi operatori della logistica e dei trasporti. Sono ben remunerati, regolari, migliorano l’immagine commerciale. Tutti i gruppi internazionali inquisiti a Milano servono gli apparati militari USA ed europei. Ad esempio DB Schenker, filiale delle ferrovie tedesche, trasportava armamenti in tutt’Europa prima di essere venduta a DSV, azienda danese che negli anni ha inglobato specialisti come Panalpina, Agility e Saima Avandero, e che da tempo garantisce praticamente in monopolio servizi a terra e in mare per le forze armate italiane.

Notiamo che sinora le inchieste della magistratura italiana non hanno riguardato i maggiori operatori della logistica globale, le gigantesche compagnie armatoriali e marittime. I giudici sono partiti dalle cooperative fittizie che gravitano attorno ai grandi centri logistici del nostro paese, e sono risaliti lungo la catena di fornitura del lavoro. È tecnicamente difficile andare oltre e coinvolgere la logistica marittima, che opera sfruttando ampiamente i porti franchi doganali, i paradisi fiscali, le bandiere ombra, i registri navali di comodo, e in strutture portuali che sono spesso controllate dalle stesse mega-compagnie armatoriali. Eppure i padroni del traffico mondiale dei container come MSC, Maersk, CMA-CGM, Hapag-Lloyd e i loro alleati d’Oriente stanno costruendo le loro reti a terra, integrando filiere e modalità inseguendo la catena da valore: l’integrazione di fatto c’è, ma è difficile dimostrare la co-responsabilità.

Bisogna tener conto, poi, che chi opera stabilmente con gli apparati militari deve di solito fornire garanzie onerose: utilizzare la bandiera nazionale, rispettare gli standard di sicurezza più esigenti, applicare i contratti di lavoro nazionali e garantire la cittadinanza del personale imbarcato. Per questa ragione, l’armatore danese Maersk mantiene sotto bandiera americana più di quaranta navi (portacontenitori, ro-ro, petroliere, general cargo), così come la tedesca Hapag-Lloyd (sette navi). La partecipazione ai programmi del Military Sealift Command americano permette – analogamente al cargo aereo – di partecipare in posizione preferenziale ai bandi per i contratti charter.

Pur rappresentando una frazione tutto sommato ridotta del commercio mondiale, la logistica per la difesa sta sempre più modellando il mondo dei trasporti e le relative relazioni di lavoro. Tempo fa l’amministrazione militare italiana fu costretta a vietare al proprio personale di pubblicare i propri profili LinkedIn, per cercare di arginare l’emorragia di ufficiali verso impieghi in Amazon e nei magazzini logistici. Il settore si sta trasformando e adottando le prassi autoritarie – ipocritamente chiamate “efficienza” – che puntano sulla divisione dei lavoratori (da una parte caste privilegiate e tutelate, dall’altra paria senza diritti, con salari infimi e nessuna prevenzione degli infortuni), mentre pratica ampiamente le frodi fiscali e previdenziali e lascia mano libera ai grandi monopoli multimodali, too big to convict.

In fondo è a questo che servono le guerre.