Il parere del governo sulle “navi della morte”

Il 19 aprile 2022 è stata presentata alla Camera l’Interrogazione a risposta scritta 4-11866, a prima firma della deputata Yana Chiara Ehm e co-firmata dalle altre tre deputate del gruppo Misto-ManifestA (Suriano, Sarli e Benedetti).

Era rivolta al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere come mai non venivano applicate né una legge dello Stato né un Trattato internazionale firmato e ratificato dall’Italia alle navi cariche di armamenti in transito nei porti nazionali verso paesi in conflitto, in cui vi è il pericolo fondato che possano essere impegate contro la popolazione civile, in grave violazione dei diritti umani, o in cui si possano commettere crimini di guerra e genocidi.

L’8 luglio 2022 il sottosegretario agli Affari Esteri Manlio Di Stefano (Insieme per il Futuro) ha risposto alla deputata Ehm, con una lettera che si può leggere al link qui sotto.

Siamo così giunti al capolinea nella verticale delle responsabilità.

Com’è noto, The Weapon Watch si è direttamente rivolta a tutte le autorità a cui spetta il controllo sulle attività del porto di Genova concernenti il trasporto delle armi. Ne ha costantemente informato l’opinione pubblica, e di recente ha ricapitolato la cronologia delle “non risposte” e il sostanziale scarico di responsabilità (vedi in questo sito l’articolo Nessuno ha competenza sulle armi in transito).

La deputata Yana Chiara Ehm.
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Ora il governo, attraverso il sottosegretario Di Stefano e grazie all’interpellanza delle deputate di ManifestA, intenderebbe chiudere la questione. A nostro parere la questione non è affatto chiusa, e rimane – autorevolmente ribadita – la sostanziale violazione delle norme della Legge 185/1990 e del Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali.

Inoltre vengono confermati fatti e circostanze che aggravano l’assoluta assenza di trasparenza e la negazione concreta dell’accesso alla documentazione del carico delle navi saudite che – conferma il sottosegretario – trasportano costantemente materiale militare, merce pericolosa ed esplosivi (ma «non radioattivi»!). Secondo noi, dunque, le proteste di lavoratori, abitanti e associazioni sono del tutto legittime e ragionevoli, vista una situazione di pericolo oggettivo che si ripete nel porto di Genova in media ogni tre settimane circa da ben otto anni, e che troverebbe i Vigili del fuoco genovesi del tutto impreparati in caso di incidente o incendio a bordo, come affermato da un loro rappresentante.

Altra conferma è quella circa la disponibilità delle informazioni circa il materiale militare e gli esplosivi caricati a bordo delle navi in transito nei porti italiani. Secondo quanto afferma il sottosegretario, ne sono innanzi tutto a conoscenza le Prefetture, che vengono informate della natura del carico dal raccomandatario marittimo – rappresentante della Compagnia marittima – con apposita nota obbligatoria. Le Prefetture informano a loro volta le Questure, le Capitanerie di Porto, le Polizie di frontiera marittime e le Agenzie delle dogane, ognuna ovviamente «per i profili di rispettivo interesse». Lo stesso raccomandatario invia alle Capitanerie – via il Port Management Information System, quando la Capitaneria ne è dotata, come nel caso di Genova e dei maggiori porti italiani – i seguenti documenti: 1. l’autorizzazione/comunicazione al transito della merce rilasciata dalla Prefettura; 2. una propria dichiarazione «contenente il dettaglio della merce militare pericolosa in transito»; una propria dichiarazione sul transito della nave.

Sappiamo poi che la Capitaneria di Genova ha effettuato «ordinaria attività di verifica e controllo del carico» per via documentale. Da parte sua l’Autorità portuale di Genova ha effettuato ispezioni a bordo delle navi saudite in «ben cinque» occasioni nel periodo dicembre 2020-febbraio 2022, quando secondo i documenti in possesso di Weapon Watch nello stesso periodo si sono registrati nel porto di Genova almeno 16 attracchi delle navi della compagnia Bahri. Peraltro a Weapon Watch risulta che le ispezioni abbiano talvolta rilevato inosservanze proprio concernenti gli «elementi di pericolosità» relativi agli esplosivi imbarcati, mentre il sottosegretario afferma testualmente che «in nessuno dei casi il sopralluogo ha rilevato elementi di pericolosità».

Nel garage di una nave Bahri a Genova, aprile 2020.
Sul campo di battaglia in Yemen, presso Hodeidah, settembre 2020.

Del tutto incontrollabile, poi, l’affermazione che a Genova non sono stati imbarcati sulle navi saudite «container contenenti armi ed esplosivi».

Per accertarlo non basta verificare la correttezza formale della documentazione di accompagnamento, come dimostrano i casi della nave «Eolika» passata per La Spezia o quello dei “sospetti” droni bloccati pochi giorni fa a Gioia Tauro (ne abbiamo riferito in altri articoli). Se si pratica come criterio di trasparenza il segreto su tutto, anche sugli atti amministrativi e le polizze di carico, non può non restare il dubbio che all’opinione pubblica vengano nascosti i veri dati del commercio di armamenti. A chi protesta, come ai portuali del CALP, il sottosegretario Di Stefano ricorda – in tono velatamente minaccioso – la pendenza delle indagini dell’autorità giudiziaria genovese, autorità peraltro del tutto latitante a riguardo dell’esposto – inviato da Weapon Watch alla Procura della Repubblica di Genova nel febbraio 2020 – circa eventuali illeciti di rilevanza penale a carico di autorità dello Stato per mancato rispetto della Legge 185/1990 e del Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali.

Infine notiamo che la non applicabilità della Legge 185 viene giustificata con l’esistenza – sottintesa ma tangibilissima – di un secondo “confine” dello Stato, diverso da quello politico, cioè il confine doganale, una immaginaria linea di demarcazione che – sebbene posta a 400 m dalle case di Sampierdarena – posiziona al di fuori della competenza delle autorità italiane la nave Bahri stracarica di armi ed esplosivi attraccata al molo del GMT. Nemmeno una parola è dedicata al vero punto dolente della questione del transito degli armamenti, ovvero la destinazione e l’uso che se ne faranno, e in particolare se serviranno alla difesa di un paese – che dovrebbe dotarsi solo delle armi sufficienti alla sua legittima difesa – ovvero all’attacco di un altro paese, quale che ne sia la motivazione. In questo secondo caso, leggi e trattati impongono al governo non solo di non consentire la vendita di armi, ma anche di impedire il transito di quelle che altri paesi hanno venduto ai contendenti: rispettando lo spirito e la lettera, tra l’altro, dell’articolo 11 della nostra Costituzione.