All’apertura del convegno "Riconvertiamo SeaFuture", tenutosi alla Spezia il 25 settembre 2021 (scaricabile qui), Giorgio Beretta – analista di OPAL e di Rete Italiana Pace e Disarmo – ha ricordato che le leggi italiane non solo impongono la regolazione e il controllo del commercio di armamenti, ma prevedono pure la graduale riconversione e diversificazione dell’industria militare al settore civile, previsione che è rimasta inapplicata dall’entrata in vigore della legge, nel 1990.Proviamo a passare in rassegna brevemente quali sono le aziende spezzine che andrebbero coinvolte in una graduale riconversione.
Secondo i dati raccolti nel database nazionale di Weapon Watch, nella provincia di Spezia sono presenti 23 imprese operanti nell'industria e nei servizi di sicurezza e difesa, a cui bisogna aggiungerne 6 unità locali – tra cui le più importanti in termini occupazionali – appartenenti ad aziende che hanno altrove direzione e sede legale. Escludendo queste ultime, che consideremo a parte, le 23 entità (sulle 870 censite in Italia) valgono circa 1.100 posti di lavoro e 375 milioni di € di fatturato complessivo, dati questi che non vanno attribuiti tutti alla produzione militare.
Spesso è assai difficile separare, infatti, anche per chi lavora dentro un'azienda, il valore delle produzioni militari da quelle civili, sarebbe opportuno riferirli ad attività dual use, cioè che possono essere militari ma che sono realmente attribuibili al militare solo quando si registrano esportazioni. Sotto questo profilo, le aziende spezzine hanno ottenuto poco più di 54 milioni di € di autorizzazioni all'export negli ultimi 5 anni, però con forti oscillazioni annuali (da 3 a 17 milioni di €).
I tre quarti delle autorizzazioni (in valore) si debbono a due medie aziende: ELSEL e Officine Fonderie Patrone, entrambe con 50-60 dipendenti e circa 15 milioni di € di fatturato annuo. ELSEL opera da oltre 35 anni con stabilimento in via Fontevivo. Fondata dall’ing. Francesco Cicillini in società con Sandro Falconi, progetta e realizza apparecchiature elettroniche ed elettromeccaniche, in particolare alimentatori per il settore radaristico, rack di comando e controllo nel settore navale, pannelli di interfaccia uomo/macchina in ambito difesa terrestre. È la capofila del consorzio Elettronica Melara e partecipa al programma Elite di Leonardo, cliente di riferimento per ELSEL. Le più recenti esportazioni militari sono state le torrette remotate LIVET spedite a Singapore e in Arabia Saudita, e due centraline meteo per veicoli EM-2, forse comprensiva di quel sensore anemomentrico per il controllo balistico messo a punto insieme all’Università di Pisa. ELSEL non ha partecipato a SeaFuture, però era ad Abu Dhabi per IDEX 2021.
Anche le Officine Fonderie Patrone hanno disertato SeaFuture. La vecchia azienda fondata da Giobatta Rosa quasi un secolo fa aveva in via Salvatore Ravecca una fonderia di ghisa e operava nel settore civile (cilindri e freni per locomotive a vapore, macchine per la lavorazione del legno, torchi e frantoi, ecc.). Sotto la guida del nipote ing. Giovanni Battista, titolare di alcuni brevetti internazionali, dalla fine degli anni Novanta si è rifugiata nella nicchia del munizionamento pesante, in particolare teste scariche per razzi, bossoli e proietti, granate per esercitazione. Il mercato di destinazione è ampio, copre tutti i paesi europei ma anche Brasile, Argentina, Thailandia, ecc.
A marcare il carattere del complesso militare-industriale spezzino sono però soprattutto i tre maggiori insediamenti locali. Leonardo e Fincantieri mantengono qui due centri produttivi ereditati dalla dissoluzione delle partecipazioni statali, mentre quello MBDA è uno dei tre stabilimenti italiani di un gruppo multinazionale con sede centrale a Parigi, il cui capitale è nelle mani di Airbus Group (37,5%), BAE Systems (37,5%) e Leonardo (25%). Da notare che proprio queste tre aziende sono state i principali sponsor di SeaFuture 2021, e fanno certamente parte del sistema semi-pubblico a finalità private che governa l’economia locale. Leonardo è formalmente sotto il controllo del Ministero dello Sviluppo Economico, ma i fondi pensione americani contano molto nel suo azionariato. Fincantieri è controllata da Fintecna (al 71,6% del capitale), la finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti, e certamente in questa fase non intende liberarsi dalla tutela statale.
Lo stabilimento ex OTO Melara di via Valdilocchi, dal 2016 inglobato in Leonardo, dovrebbe impiegare oggi circa 960 persone, in gran parte pendolari, “trasfertisti” e dipendenti di ditte esterne, ma non ci sono dati ufficiali riguardanti questa unità produttiva, aggregata alla Divisione Elettronica di Leonardo Spa insieme allo stabilimento ex OTO di Brescia (ormai in dismissione) e all’ex WASS di Livorno. Sappiamo che produce torri di piccolo medio e grande calibro terrestri, cannoni navali di medio e grande calibro, munizionamento guidato, lanciatori per missili. Su quanto valgano in termini di fatturato queste attività non vi sono neppure fonti di parte imprenditoriale. Potremmo averne un’idea approssimata, riprendendo recenti voci circa l’acquisto da parte di Fincantieri dell’ex OTO Melara (compresi i tre siti industriali di Livorno, Brescia e Pozzuoli): 400 milioni di €.
Da parte sua, Fincantieri ha in programma di estendere la sua quota di fatturato militare, oggi al 24%, per far fronte alla caduta della domanda crocieristica. Lo storico cantiere di Muggiano – già Ansaldo San Giorgio – da anni opera quasi esclusivamente per il settore militare, pienamente integrato con quello di Riva Trigoso, dove sono state varate la «Cavour» e le fregate FREMM. È difficile valutare quanti siano i lavoratori impiegati in cantiere. Se ci si basa sul quotidiano affollamento dei parcheggi e sulle proteste degli abitanti delle frazioni di Lerici prossime al cantiere contro la sosta abusiva, raggiungono punte di tremila lavoratori, che Fincantieri recluta col metodo del “subappalto piramidale”, cioè attraverso micro-imprese con uno o due dipendenti - spesso extracomunitari - che cessano e cambiano denominazione dopo pochi mesi dalla creazione.
Adiacente allo stabilimento Leonardo c’è quello di MBDA, e che ha come prodotto di punta il nuovo missile antinave Teseo Mk2E, dotato di capacità d’attacco terrestre e anche lanciabile da batterie terrestri, con gittata di oltre 500 km. La direzione di MBDA prevede di assumere una quarantina di dipendenti, da aggiungere ai circa 200 attuali (contando il sito integrato di Aulla).
La pressione delle grandi aziende perché siano finanziati ulteriori “ammodernamenti” delle flotte operative è pienamente assecondata dai vertici della Marina militare italiana. Per sostituire i “vecchi” sommergibili della classe Sauro, vogliono due nuovi U212 NFS (“Near Future Submarine”), con l’opzione per altri due, costo previsto 2.628 milioni di €. Per un altro programma di ammodernamento, cioè per l’estensione a tutti gli U212 del BCWCS (Basic Command & Weapons Control System), la previsione di spesa è di 2.530 milioni di €. Perché il nostro paese dovrebbe rinunciare a servizi e welfare per oltre 5 miliardi nei prossimi anni?
Lo spiega una nota di Fincantieri. I nuovi e meglio armati sommergibili parteciperanno, oltre che «a missioni prettamente militari» (e l’Italia ne ha in corso ben 40!), a quelle «inerenti la libertà di navigazione, l’antipirateria, la sicurezza delle vie di approvvigionamento energetico (in virtù delle risorse dei fondali e delle infrastrutture subacquee presenti), il rispetto del diritto internazionale, la lotta al terrorismo, la tutela delle frontiere esterne, la salvaguardia delle infrastrutture marittime, incluse quelle vitali off-shore e subacquee, e non ultimo il controllo della presenza di cetacei». Quali sono le “frontiere esterne” che la nostra Marina deve “tutelare”, dal momento si vuole imbarcare sui sommergibili anche i missili Cruise, con un raggio d’azione di oltre 1.000 km? C’è qualcosa in tutto questo di compatibile con la Costituzione italiana?
In ogni caso, ogni ulteriore “ammodernamento” delle nostre flotte militari dovrebbe indicare l’eventuale retrofit e destinazione dell’usato, questioni rilevanti dopo la svendita di due fregate FREMM alla Marina militare egiziana, nonostante le proteste della famiglia Regeni e della Rete Pace e Disarmo, e le inchieste giornalistiche di Rai3 e del Fatto Quotidiano. Quali siano i destinatari finali e che uso facciano delle navi dismesse dai corpi militari italiani si è potuto constatare durante il convegno “Riconvertiamo SeaFuture”, dove sono state proiettate le terribili sequenze del giugno 2021, quando una motovedetta libica, in acque maltesi, ha cercato di speronare e ha sparato contro un barcone di emigranti, nonostante i pressanti inviti dei volontari di Sea Watch che filmavano la scena.
Come ha spiegato Nello Scavo, giornalista investigativo di Avvenire invitato al convegno, quella era una delle motovedette italiane “donate” alla Libia in successive tranche tra, a cui hanno corrisposto contatti tra i governi italiani e personalità libiche inserite in diverse “liste nere” (ONU, UE, Dipartimento di stato USA, Ministero degli esteri britannico). Negli stessi momenti si sono registrati forti aumenti di esportazioni petrolifere semi-legali.
La motovedetta libica visibile nel video di Sea Watch è identificabile come la 648 «Ras al-Jadar» (MMSI 642124567), costruita nel 1987 dai cantieri Intermarine di Sarzana, appartenente al gruppo di sei pattugliatori della classe “Bigliani” già in uso alla Guardia costiera e donati dal governo Berlusconi a Gheddafi. Danneggiate dai bombardamenti NATO, sono state ripristinati a spese dei contribuenti italiani tra 2017 e 2018 da personale militare italiano, imbarcato sul almeno tre unità della Marina Militare («Tremiti», «Capri» e «Caprera») che si sono alternate all’attracco del porto di Tripoli, violando ripetutamente – secondo un’inchiesta dell’ONU – l’embargo sulle armi imposto alla Libia dal Consiglio di sicurezza. Nel giugno 2021 un ufficiale e due marinai della «Caprera», nave normalmente di stanza alla Spezia, sono stati condannati con rito abbreviato per contrabbando dalla Libia di farmaci e di 774 kg di tabacco da sigarette.
Buona parte del personale della sedicente Guardia costiera libica è stato addestrato – a spese del contribuente italiano – nella base della Marina di Gaeta. Nel luglio scorso, l’ong spagnola Open Arms ha denunciato il capitano della motovedetta libica «Ras al-Jadar» per omissione di soccorso e per aver causato poche settimane prima la morte di due persone. I pattugliatori e le motovedette di fabbricazione italiana consegnate da diversi governi della Repubblica al sedicente “governo di Tripoli” sarebbero oggi, secondo alcuni osservatori, sotto il controllo di ufficiali della Marina militare turca.